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K. Jennings, Un’isola: recensione

In Un'isola , Karen Jennings dà vita a un personaggio che non ha bisogno del narratore per guardarsi da fuori. Si passa da uno sguardo all'altro con effetto prismatico una microstoria personale su cui grava l'impronta della macrostoria sinistra, ma anche disorganizzata, un universo politico del quale non è importante capire a quale Paese riferirlo. Così è anche per il colore della pelle di chi si sta parlando, forse perché tutti i derelitti ricadono sotto lo stesso cielo cupo, che pesa sui selciati ingombri di rifiuti umani e di rifiuti di rifiuti umani. Bisognerebbe frugare nell’avvicendarsi di dittatori e di partiti di liberatori nei vari stati africani per capire le dinamiche di segregazione, tortura e migrazione descritte nel libro, ma anche in questo caso non è molto importante. C’è un implacabile mano della violenza della condizione umana declinata nelle sue relazioni che guida un poveraccio, Samuel, prima in prigione, suo malgrado, perché è tutt’altro che un eroe pol