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Intervista a Olga Campofreda, autrice di Ragazze Perbene (NNeditore 2023)

E’ stato davvero incredibile conoscere e incontrare Olga per farle questa breve intervista prima della presentazione del suo libro Ragazze Perbene al Caffè libreria Colibrì a Milano. Una simpatia a prima vista, tanto che ci siamo fermate in libreria davanti agli stessi libri e abbiamo continuato a conversare come se ci conoscessimo da sempre. Ma questa è l’intesa tra lettrici… 



Di seguito vi riporto la nostra chiacchierata, cercando di restare il più possibile fedele alle parole di Olga. 



1. Nessuna e’ mai Rossella; e se lo è o non si sente tale oppure non sapremmo mai il suo punto di vista perché sicuramente non scrive. Se si scrive si è Clara… Nel senso che se per natura si è buona, bionda coi boccoli e gli occhi azzurri, e ciascuna ragazza della scuola e dell’intera città vorrebbe essere te, allora si è troppo impegnati a vivere per scrivere. Oppure no?  

Mentre leggevo il libro all’inizio ho pensato che la prospettiva di Rossella non l’avremmo mai potuta conoscere perché le ragazze/donne come Rossella non hanno bisogno di scrivere. Poi mi si è insinuata un altra domanda… Rosella esiste?


Rossella non esiste fino a che non arriviamo a leggere qualche pagina del suo diario. Ragazze perbene è la storia di Clara e attraverso lo sguardo di Clara conosciamo il suo mondo, filtriamo le esperienze attraverso la sua emotività e la sua percezione, sempre parziale, sempre ben posizionata. Anche la descrizione che abbiamo di Rossella ci è fornita da Clara, all’inizio del romanzo: lei è la cugina perfetta, quella giusta, quella su cui si riversano le aspettative della famiglia. Sembra avere tutto: l’amore, il successo, la popolarità. Ma fino alla fine non sappiamo qual è la posizione di Rossella rispetto a tutto questo. Come si percepisce lei. Nessuno dei personaggi esiste davvero fino a quando non inizia a raccontarsi agli altri in prima persona. Fino a quel momento sono delle proiezioni.


2. C’è un capitolo sembra quasi scollegato dal resto del libro, un racconto nel racconto che in qualche modo simboleggia la riscoperta del corpo. Cosa ti ha spinto ad inserirlo?


Mi piaceva l’idea di mettere in scena una cosa considerata ancora più trasgressiva dell’incontrare semplicemente qualcuno su Tinder. Clara in questo caso accetta l’invito di una coppia che vuole coinvolgerla in un gioco erotico. Nella trasgressione però, paradossalmente, si sente curata e accudita. E dico paradossalmente perché un certo senso di cura e rispetto lei lo riceve per la prima volta da due sconosciuti, mentre le era mancato nello stesso rapporto con Thomas (il suo partner).  Mi piaceva questo stacco, questo contrasto incredibile. La parte di Tinder l’ho inserita per mostrare un mondo completamente diverso dall’infanzia e dall’adolescenza a Caserta, da cui resta escluso il rapporto con il piacere e con il corpo in generale. Il mondo di Londra è l’estremo opposto. 

Alla fine tuttavia la felicità di Clara non si trova nel buttarsi nell’estremo, bensì quando comincia davvero a interrogare se stessa. La mia protagonista è un personaggio che vive per reazione a quello che non vuole, però diventare pienamente te stesso è un passaggio che avviene solo quando cominci a domandarti che cosa ami, che cosa ti piace davvero. 



3.  Vorrei parlare con te di due personaggi, apparentemente secondari, che però rendono completo il ventaglio di possibilità umane nel difficile equilibrio tra le regole della società e il proprio desiderio, ovvero Flavia e Luca.


Flavia è l’unica che sa, che si conosce, che si è sempre conosciuta, è un personaggio che sembra  inizialmente marginale ma è in realtà molto importante sia per come è, ma soprattutto nella sua interazione con la protagonista Clara. Sceglie il mondo della campagna e della natura, non la grande metropoli, e in questo forse mi ha ispirato il ritorno alla natura, all’“oltre la città” che è arrivato per molti con la pandemia. Flavia è un personaggio che rende possibile dentro di sé la coesistenza di un elemento ribelle, individualistico, insieme a un elemento materno, volto alla cura. Si tratta di un personaggio che fin da subito ha scelto quello che voleva nonostante le voci, nonostante i gossip che le disegnavano addosso.  

Una scena molto importante secondo me è quando Clara bambina, durante una festa di compleanno dell’amico Tonio, sbircia oltre la porta della camera di Flavia e vede i poster che la ragazza teneva affissi alle pareti. Ci sono i Radiohead, ci sono i Green Day, ci sono cassette dei 

Nirvana. Questo mondo costellato di modelli alternativi a quelli patinati di cui era pieno l’universo delle ragazzine perbene significava una via altra, un modo di essere diverso, misterioso rispetto ai modelli tradizionalmente proposti. Significava anche un percorso di formazione culturale autonomo, ricercato e non subito dall’alto.


Per quanto riguarda Luca, l’ho amato tantissimo. Per lui provo una profonda tenerezza, rispetto agli altri personaggi maschili che il più delle volte mi risultano odiosi nel tentativo che hanno di mostrarsi sempre coerenti. A dire il vero, inizialmente Luca non doveva neanche esserci. Doveva esserci semplicemente il fidanzato storico di Rossella e questo non doveva interagire con Clara in alcun modo. La prima volta però che lui e Clara si sono parlati, ho intravisto una crepa dietro alla sua perfezione, dietro a questo vivere sempre con le camicie inamidate, e allora ho pensato che questa crepa andasse indagata, interrogata. Avevo bisogno di capire perché questo ragazzo avesse questa malinconia dentro, questa insoddisfazione, perché la forzasse così tanto. La parte poi in cui distrugge la casa del nonno, quella l’ho dovuta aggiungere perché volevo dare spazio principalmente a lui, a questa frustrazione incredibile.  La tragicità sta nel fatto che alla fine si convince sempre a rientrare nei ranghi, perché anche lui, come Rossella, è un ragazzo perbene.


4. Quali sono le fonti a cui hai fatto riferimento nel tuo romanzo?

Perifericamente l’esistenzialismo, perché mentre scrivevo avevo sempre accanto i testi di Simone De Beauvoir. L’ho letta e riletta molte volte e ogni volta l’ho capita in modo diverso, più profondo. Come succede a Clara quando rilegge una frase ("non si può cambiare vita senza prima cambiare se stessi ) di De Beauvoir e finalmente questa le si schiude davanti nel suo pieno significato, grazie anche alle esperienze che ha attraversato nel romanzo. Questa comprensione graduale, a livelli consecutivi e progressivi, accade molto spesso pure con le domande che ci poniamo nella vita, come quando tu ti chiedi: “Cos’è che mi rende felice?”  Non è detto che ci sia un’unica risposta e che sia uguale sempre, perché noi cambiamo, siamo mutevoli, fluidi anche nel desiderio. 

Anche lo studio di Girard sul desiderio triangolare che racconta in Menzogna romantica e verità romanzesca è stato molto importante per la struttura dei rapporti tra i protagonisti: anche se l’attenzione è spostata sul dualismo (le due città, i due palazzi reali, le due cugine) i flussi emotivi tra i personaggi sono triangolari. Si desidera qualcosa perché insconsciamente si vuole essere colui o colei che la possiede. È la prima volta che me ne rendo conto, ma in effetti è così anche nel microcosmo delle ragazze perbene. 


5. Chi sono gli adulti, i genitori di cui narri?

Sono dei genitori che per entrare troppo nella loro parte dimenticano di coltivare un reale rapporto con i figli e con se stessi. Giocano a fare gli adulti in modo troppo preciso, troppo secondo il “manuale”, guardano alle regole di comportamento, aderiscono a quello che ci si aspetta dal loro ruolo e dimenticano il dialogo con i propri figli. Soprattutto le donne, che per generazioni abbassano la testa e obbediscono ai ruoli che vengono dati loro dalla comunità e non sono felici. E i ragazzi se ne accorgono. Come quando la mamma di Clara piange e fa finta di essersi immedesimata troppo nel libro che sta leggendo. 



Vi lascio con una citazione, tra quelle che ho preferito: 


“Che cosa era stata davvero la vita delle ragazze perbene? Tenerci docili, crescere nella vergogna chiamandola purezza. Imprigionate come Belle nel palazzo della Bestia, ci avevano addestrate ad avere paura della rosa tumulata nelle segrete del castello, lontana dal nostro sguardo. Ho sentito il piacere esplodermi dentro come una tempesta in una scatola, una scarica elettrica nel ventre e nella testa a cui è subentrato un torpore dolce. Si è espanso lentamente, come inchiostro su un panno, e nel seguirlo ho dimenticato il mio nome. Dev'essere così che si muore, ho pensato. E poi ho percepito, nonostante tutto, di essere incredibilmente viva.”






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